Premio Bologna in Lettere 2024- Note critiche e appunti di lettura – Enea Roversi vs Beatrice Occhini

Premio Bologna in Lettere 2024

Sezione B – Raccolte  inedite

 

È una raccolta assai breve, questa di Beatrice Occhini intitolata Le voci del dubbio: sono appena nove testi, che in realtà raddoppiano, ma arriviamoci con calma.

Una succinta dell’autrice introduce così i testi: «I pensieri intrusivi sono illeciti abitanti della mente, processi magmatici involontari indesiderati inappropriati. Chiedono conto di ciò che crediamo fermamente, rendendolo ipotetico. Il loro in-, però, è ingresso forzato, non negazione. Se dotati di una voce, diventano eccentrici interlocutori.».

Dunque i pensieri e con essi i processi con cui si evolvono, diverrebbero volontari, desiderati e appropriati, coinvolgendo chi scrive in un rapporto dialogico tra scrittura e mente.

Il dialogo, in questa raccolta, prende forma attraverso la voce stessa dell’autrice: in calce a ogni testo, troviamo infatti l’immagine della voce.

Proprio così: basta fotografare quell’immagine, che ricorda i rulli perforati delle vecchie pianole meccaniche, ma che in realtà è un QR Code ed ecco che il lettore viene inviato a un file audio mp3, da cui può riascoltare, dalla viva voce dell’autrice, il testo che ha appena letto.

È un’operazione davvero interessante questa operata da Beatrice Occhini: il testo prende letteralmente voce e corpo, la visione si tramuta in suono, la lettura in ascolto.

Il primo testo ha per titolo allergia e inizia così: se sto ferma sento la pelle bruciare di polvere d’oca, acari mi viaggiano invisibili. svelti. È la descrizione di un pensiero che si tramuta in incubo: non è un caso che nel testo ricorra più volte la parola orrore.

Seguono gli altri testi: apòria, s’éparpiller, semi di panìco, disgiunzione, talea, sospensione, immersione e per talea. Sono nove in tutto: ognuno seguito dalla propria voce.

Se in apòria l’autrice osserva con disincanto il volo di una farfalla ( vedi le fronde dall’alto e nel lontano sconfinato sei soltanto un errante punto bianco), in s’éparpiller si cimenta con un testo plurilingue, nel quale alterna, oltre alla lingua italiana, il francese, l’inglese e il tedesco al fine di ottenere un caleidoscopico e babelico ritmo della scrittura, dove ordine e disordine si amalgamano.

In semi di panìco la pianta graminacea al centro del testo potrebbe trasformarsi, con un semplice spostamento dell’accento, in un sentimento di paura: da panìco a panico ed è la stessa Occhini a descriverlo (Basta un colpo d’accento / e non ti vedo ma ti sento: nello stomaco stretto d’acciaio, / nella gola morsa d’arsura, / semi di panico.)    

Ricorre in questi testi, così come pure nei successivi, il riferimento alle parti del corpo: lingua, bocca, falangi, gola, piedi, coscia, pori della pelle, così come sono frequenti i termini paura, angoscia, respiro, a rimarcare il rapporto inscindibile tra psiche e corpo.

In disgiunzione troviamo riferimenti alla mitologia e all’astronomia, mentre il breve testo intitolato talea presenta un parallelismo tra pianta ed essere umano.

Seguono i due testi più lunghi e articolati, vale a dire sospensione e immersione, entrambi incentrati sui rapporti umani: il primo sul rapporto tra i sessi, il secondo sulle relazioni umane e sul senso di percezione del proprio posto nel mondo. Due brevi estratti dai succitati testi: ci siamo rivisti dopo giorni dispersi e, adesso, siamo noi due, soli (tratto da sospensione) e poi è troppo l’ossigeno che pretendi – e allora prometti di negoziare, puoi cambiare, puoi stringere i polmoni e farti piccola piccola, baratti ossigeno per condivisione (da immersione).

Conclude la raccolta per talea, che richiama il già citato talea e si conclude con i versi E se non ti rigeneri sei ancora talea? / Tira un po’ senza forzare: se c’è resistenza ci sono radici che possono essere considerati il naturale compendio de Le voci del dubbio.

Poesia in forma di prosa, quella di Beatrice Occhini, dove i dubbi si autoalimentano, le angosce e le paure si riflettono allo specchio, i sogni e gli incubi si intrecciano alla realtà.

L’autrice usa un proprio linguaggio, fatto di mescolanze e reminiscenze, con frequenti e non banali excursus su scienza e tecnologia: grazie a quest’ultima, poi, recupera l’antica oralità della poesia, rendendola al lettore in modo originale e affascinate.

Una raccolta breve che potrebbe diventare, qualora trovasse un lungimirante editore, una plaquette davvero intrigante. (Enea Roversi)